8 Aprile 2021 -

Stati di grazia

La valenza di una mostra che arriva in un momento difficile e che racconta un Walter Bonatti lontano dagli stereotipi e dalle celebrazioni, da conoscere attraverso una nuova prospettiva

di Vincenzo Torti, Presidente generale CAI

Stiamo attraversando momenti difficili e le progettualità di riferimenti culturali, quali sono i Musei, non possono che risultarne fortemente penalizzate. Proprio per questo assume particolare valore la volontà del Museomontagna della Sezione Cai di Torino di insistere nella Mostra dedicata ad una particolare lettura del personaggio Walter Bonatti, lontana da stereotipi o da mere celebrazioni, per approfondirne, invece, le pieghe di una umanità da un daìmon unico, quello stesso che lo ha reso protagonista di un alpinismo eroico, che prescinde da qualsiasi epoca. Una Mostra che corona la determinazione della Direzione e valorizza il lavoro intenso dello staff e dei curatori su quanto contenuto dell’Archivio Bonatti, che la famiglia ha inteso affidare al Museo, con la certezza che, anche grazie alla collaborazione del Cai centrale, avrebbe potuto trasformarsi in un patrimonio idealmente e stabilmente destinato a tutti gli amanti della montagna e di quanto esso rappresenta nell’immaginario collettivo. Dietro ogni oggetto, ogni riflessione, ogni fotografia incontreremo un Walter Bonatti che impareremo a conoscere da un nuovo angolo di prospettiva. E facile apparirà l’accostamento con l’Ulisse dantesco, quello che “né dolcezza di figlio né la pìeta / del vecchio padre, né ‘l debito d’amore / lo quale dovea Penelopé far lieta / vincer potero dentro a me l’ardore / ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore; / ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno…”. Un ardore, quello di Bonatti, rivolto dapprima all’alpinismo, perché “la montagna è stata per me soprattutto un motivo e un mezzo per andare oltre, per dare spazio alla mia curiosità… Ma dalla montagna ho avuto anche altre emozioni non meno importanti, come il vivere al di fuori di certi schemi sociali, limitanti e spesso deludenti; il muovermi in una natura grandiosa e genuina, che mi è congeniale; il misurarmi soprattutto con me stesso; il trovare la mia identità”. Una identità contraddistinta da quell’onestà e quella determinazione che ne avrebbero segnato la vita. “La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo”, scrive Bonatti che, legittimamente, ha preteso analoga onestà da parte di coloro con i quali ha condiviso spedizioni epocali, come quella al K2, la cui corretta ricostruzione è stata certificata, solo e finalmente, dalla Commissione dei Tre Saggi, fortemente voluta dal Club alpino italiano per fare definitiva chiarezza sui reali accadimenti sottesi alla conquista della vetta, con la conferma della veridicità del racconto di Walter Bonatti. Conosceremo, ancora, la sua vocazione all’ultima solitudo, che lo ha portato alle imprese più impegnative e che non avrebbe potuto condividere altri che con se stesso, una solitudine come scelta e non certo di isolamento e scopriremo che il silenzio è stato il suo vero compagno di cordata o di avventura, un silenzio che “a volte mi stordiva, con tutti i misteri che porta con sé; ma dire silenzio… voleva dire anche ascoltarmi, parlarmi, riflettere”. Per questo ha potuto vincere la paura, non con il solo coraggio o con il vigore, ma con la conoscenza e la padronanza di sé, che si acquisiscono “con il contatto frequente e profondo con la natura, sia essa mare, montagna, fiume, lago, foresta, fiori, animali” (V. Mancuso). In questa Mostra, cui auguriamo, per la ricchezza e l’esclusività di quanto esposto, un meritato successo, sarà possibile ad ogni visitatore non solo di cogliere l’intima natura di Walter Bonatti, ma anche ritrovarsi accanto a lui in uno di quegli “stati di grazia” che sono riservati ai pochi che Ω per dirla come Amleto Ω “hanno il sangue e il senno così ben temperati da non fare da pifferi alle dita della Fortuna perché ella possa suonare la nota che le garba”. Stati di grazia, quindi, per “accogliere la vastità dell’insicurezza”, perché “in un’infinita insicurezza anche la sicurezza diviene infinita” (R. M. Rilke). 

from Montagne360 Aprile 2021 by CAI – Club Alpino Italiano